Gli affreschi di quattro scene della Passione di San Vittore, realizzati da Francesco Maria Bianchi, sono tornati alla luce nella cupola della Basilica di Verbania.
La prima fase di restauro è terminata, ridando splendore alla cupola, sulla quale non si interveniva in modo consistente dal 1898.
I lavori sono iniziati nel settembre del 2015. La pulizia della cupola è durata un anno: il triplo del previsto perché oltre alla coltre nera è stato necessario rimuovere i ritocchi che avevano distorto i disegni originali.
Ciò che si vede oggi sono gli affreschi originali. Luminosi e dalle tinte pastello.
«Ci siamo trovati a operare con due epoche diverse - spiega Tiziano Villa, restauratore bergamasco - : la parte inferiore della chiesa è settecentesca mentre la cupola dell’Ottocento. Ciò nonostante il risultato è armonioso. Abbiamo trovato ridipinture che talvolta avevano storpiato i soggetti originali. È stata coraggiosa anche la Soprintendenza ad autorizzarci a proseguire fino in fondo».
Il padre di Francesco Maria Bianchi, autore degli affreschi, aveva dipinto immagini sullo stesso santo nella collegiata di San Vittore a Varese.
Per questa ragione i restauratori si sono recati spesso nel Varesotto - dove ci sono opere di padre e figlio - in cerca della chiave di lettura più fedele possibile alla volontà dell’autore.
È un figurativo del tardo Barocco e l’opera della basilica di Intra è tra le ultime del Bianchi, che utilizzò colori tipicamente settecenteschi inserendosi armoniosamente nel contesto della chiesa.
L’intervento ha riguardato anche le vetrate, ripulite e liberate delle reti di protezione. Risalenti al 1898 quando venne costruita la cupola, si armonizzano con le pitture e sono costituite da vetri colorati saldati a piombo. I pezzi mancanti sono stati prodotti con la stessa tecnica.
Ora è previsto un altro anno di attività: per l'autunno 2017 saranno pronti transetto e abside, poi saranno necessari altri sei mesi per la navata.
Per giugno 2018 la basilica di San Vittore si mostrerà una «chiesa luminosa» come a inizio Ottocento.
Ph. Danilo Donadio